Perle

Domenica alla messa del suo ingresso in parrocchia, il buon Padre Andrea Trevisan ha lanciato un paio di provocazioni che mi sono rimaste come un piccolo memento:

  • “A volte l’incoscienza è un dono del Signore. Se avessi saputo in anticipo tutto quello che mi aspettava con l’avventura che sto intraprendendo probabilmente non avrei accettato, ma adesso sto vedendo quanto guadagno mi sta portando questa scelta”
  • “Stamattina pensavo tra me e me a cosa mi stava dicendo Gesù. ‘Hai voluto la bicicletta… pedala!’. A quel punto mi sono detto “Eh no, caro Gesù: mi hai dato questa bicicletta… pedaliamo insieme!'”

Grande conferma della positività ultima del reale grazie alla Compagnia di Cristo.

You saved my day

Una soddisfazione che capita raramente ma che risolleva un’intera giornata di difficoltà:

in prima sto spiegando un concetto piuttosto complesso per la capacità media della classe, la differenza grammaticale tra il concetto di “causa” e il concetto di “scopo” in termini temporali. Mentre dopo un esempio alla lavagna e un ulteriore rinforzo comunicativo mi guardo intorno e vedo molti visi con occhi intontiti. Simina, ragazza romena giunta qui a settembre, che pur con le evidenti difficoltà di comunicazione legate alla lingua alla mia domanda “avete capito?” con voce inizialmente incerta ma poi convinta dice queste tre parole:

”difficile.. ma … capito!”

La chiarezza con cui aveva sintetizzato il suo percorso cognitivo, a fronte di compagni che assai più facilitati avevano preferito distrarsi, mi ha cambiato la giornata. Grazie, Simina. In fondo basta poco per far felice qualcuno.

Pulvis et umbra

Oggi, ora di latino.

  • Io: Questa frase, pulvis (polvere) et umbra sumus, come si traduce?
  • St.: Polvere e… ombra… siamo… “siamo polvere e ombra” giusto?
  • Io: certo… e cosa significa questa frase? L’ha scritta un personaggio molto in gamba, un certo Quinto Orazio Flacco.
  • St. (si schermisce con un sorriso di circostanza) ehm… non saprei.

Mentre mi vorticavano in mente gli antecedenti di Orazio, allargavo la risposta alla classe, e una figliuola azzeccava un “significa che siamo mortali”.

Dopo aver lodato la giusta intuizione ho fatto notare che se “polvere” era abbastanza trasparente nel suo significato metaforico, un po’ meno lo era “ombra”. A quel punto ho commesso un errore: ho infatti notato che un’ombra non ha senso se non c’è una luce che la proietta. Dentro di me si è creato un cortocircuito che provo a spiegare.

Per la civiltà classica l’ombra rappresenta dopo la morte la nostalgia per il gusto della vita corporea provata dall’anima che sopravvive al corpo. Per Omero, Sofocle, Orazio e Ovidio l’ombra che il sole proietta è un memento mori schiacciante.

Perché mi è uscita l’affermazione sopra citata? Perché in effetti senza una luce (che non produciamo, che non siamo noi) essa non si produrrebbe: come un suggerimento di qualcosa “altro da noi” che però senza di noi non si produrrebbe ma che ha bisogno di una luce per evidenziarsi: qual grande prova che la tomba non è il destino ultimo della nostra vita.

Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio; perché forte come la morte è l’amore